Il sogno di Achille by Carlo Vulpio
autore:Carlo Vulpio [Vulpio, Carlo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Chiarelettere
pubblicato: 2019-05-13T22:00:00+00:00
La zattera di Odisseo
L’antico nome della Sardegna è Ichnusa. Deriverebbe dal greco, dicono, e significa «orma», perché la sagoma dell’isola è simile all’impronta di un piede umano. C’è anche chi sostiene, come il glottologo Salvatore Dedola, che quella parola non è solo greca, è mediterranea. Gli accademici hanno incrociato le armi con lui sull’etimologia di «Ichnusa», ma la sua teoria, anche se non fosse quella giusta, è la più bella, la più suggestiva, oltre a essere molto ben argomentata, e il fatto che il linguista si sia ritrovato solo contro tutti è meraviglioso come un gol impossibile di Gigi Riva. Secondo la fisica non si potrebbe, ma quando Riva lo ha fatto il pallone è entrato in rete.
Dedola sostiene dunque che l’isola era abitata dai sardi protonuragici e nuragici quando i greci ancora non esistevano, com’è testimoniato dai nuraghi e dalle statue di Mont’e Prama, i ventotto guerrieri giganti. L’attuale Sardegna quindi venne chiamata Ichnusa ben prima dell’arrivo di greci e fenici, e il termine racchiuderebbe in sé radici accadiche, cioè assiro-babilonesi, ed ebraiche e fenicie, e significherebbe quindi non tanto, o non solo, «orma», ma «isola del Grande Verde», come la chiamavano anche gli egizi. Il Grande Verde altro non sarebbe che il mar Mediterraneo.
Già fra i tremila e i seimila anni fa, dice Dedola, «l’isola era nota per la sua straordinaria feracità, per l’incredibile boscosità, per le numerosissime saline, per essere totalmente circondata da banchi di corallo rosso, per produrre enormi quantità di murici destinati alla porpora, principalmente era nota per le sue miniere. Non è un caso che sia stata chiamata pure [isola] “dalle vene d’argento”». Stesso discorso Dedola fa per la lingua sarda, che, sostiene, non è il risultato della colonizzazione di italici o spagnoli, «ma è fortemente arcaica, risale almeno a quarantamila anni fa e faceva parte di una lingua unica, suddivisa in diversi dialetti, che si parlava in tutto il Mediterraneo». Per Dedola, insomma, è impensabile che i sardi, pur presenti fin dal Paleolitico, non parlassero. Al contrario, hanno parlato fin dall’inizio e quella lingua non è mai morta.
Al di là di come stiano effettivamente le cose, tutti concordano che quella sarda sia una lingua e non un dialetto, e che il popolo sardo sia una nazione, intesa proprio tecnicamente, secondo i moderni criteri del diritto pubblico e internazionale. Se le dispute sulle origini da un idioma unico mediterraneo restano una questione aperta, sono invece un fatto le sue varianti nelle ben trentatré «regioni storiche» che compongono la Sardegna: dire per esempio Ogliastra, Gallura, Sulcis, Campidano, Nuorese significa nominare regioni abbastanza note, ma quanti hanno sentito parlare di Marmilla, Trexenta, Quirra, Planargia, Goceano, Romangia, Mandrolisai? Oppure quanti sanno che la Barbagia non è una sola, ma che c’è quella di Seùlo, di Belvì, di Ollolai, e che ognuna di esse, esattamente come ciascuna delle restanti trenta, parla la propria «sottolingua» e la coltiva e custodisce gelosamente?
La Sardegna dunque, più che un mondo a parte, era ed è una parte del mondo, ben precisa e
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